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La viralità è una trappola inutile.

Se nella tua comunicazione, nel tua strategia di marketing musicale ritieni di avere contenuti e brani validi, supportati da una fanbase affezionata, ma ti senti sempre un gradino sotto a chi può sbandierare un milione di visualizzazioni in 24 ore. Non preoccuparti più di tanto.Perché questo numero, oggi, non vale quasi nulla.

La viralità è una. trappola inutile.

La verità è che nel contesto attuale le visualizzazioni, intese anche come numero di ascolti, sono inflazionate. E proprio come la moneta in un’economia impazzita, più ne circolano, meno valgono.

Le analisi che scavano a fondo nel comportamento degli utenti social dimostrano inequivocabilmente che il valore simbolico della visualizzazione è crollato. Non è più un traguardo raro, ma una tappa di routine per creator, brand e piattaforme. Un tempo, un milione di view ti portava sui giornali. Ora ti porta, al massimo, in fondo alla coda dell’algoritmo.

Oggi le views non misurano più l’attenzione. Ma solo il rumore.

Il numero di ascolti sui DSP, come Spotify, vanno considerati alla stessa stregua se non supportati da un numero importante di follower iscritti al tuo profilo e se generati principalmente dalla presenza in playlist in cui la tua musica diventa parte di un flusso eterogeneo che annacqua la tua identità.

TikTok, Instagram, Facebook, Spotify e Youtube: tutte le piattaforme conteggiano visualizzazioni e ascolti in modo diverso, spesso gonfiandole. Basta uno scroll rapido, un autoplay che dura pochi secondi, e puff: ecco guadagnato un punto. Ma quella persona ha davvero visto il tuo contenuto? Ha capito il messaggio? L’ha salvato, condiviso, commentato? Niente di tutto questo. Quella che misuri, spesso, non è attenzione. È un riflesso automatico.

E non è solo un problema tecnico. È una distorsione culturale. Nel marketing musicale, questa ossessione per il numero secco sta portando a errori strategici. Ti spiego come:

Produci troppo, male e in fretta

L’algoritmo premia la quantità, non la qualità. Così ti ritrovi a pubblicare ogni giorno, sperando che almeno uno dei tuoi contenuti sfondi. Ma senza tempo per la rifinitura, senza una vera narrativa, senza una strategia, senza anima. Risultato? Tanti numeri, zero impatto.

Misuri il successo con la metrica sbagliata

Un videoclip trap che fa 1 milione di view in un giorno ha davvero più valore del podcast che vende 50.000 biglietti live in un anno? Se non monetizzi, se non crei un legame, se nessuno ricorda cosa hai detto o il tuo brano esce di moda dopo poche settimane, che te ne fai di quel numero?

Illudi te stesso (e il tuo team)

Sei convinto che basti spingere il brano giusto per crescere? Ecco, il brano giusto, oggi, non è quello che esplode. È quello che resta. Che costruisce un’abitudine, che genera una relazione. Che fa dire al tuo fan: “questo artista mi capisce, mi ci riconoscono.

La vera unità di misura oggi? L’engagement profondo.

Spotify lo ha capito benissimo. Non vuole più solo canzoni. Vuole podcast, audiolibri, video. Vuole che la gente resti dentro. Che passi più tempo possibile con l’artista. Che affidi tempo, non solo click.

I Creator di contenuti lo hanno capito ed oggi sfruttano le piattaforme per creare legami online che poi portano nella vita reale organizzando spettacoli e meeting.

Questi numeri raccolti offline non li vedi su TikTok. Non appaiono nel contatore delle view. Ma parlano molto più forte.

Cosa c’entra questo con il marketing musicale?

Quando misuri la tua autorevolezza artistica, se hai compreso quanto scritto sopra,  capisci bene che il numero degli ascolti o le view dei tuoi reel non sono una metrica sufficiente per misurare il tuo successo. Le domande che dovresti porre sono:

  • Quante persone parlano di te dopo il contenuto?
  • Quali sono le reazioni al tuo brano?
  • Quanto tempo restano nel tuo ecosistema?
  • Quanto spendono, non solo in denaro, ma in attenzione reale
  • Quanto riesci a portarli offline, su newsletter, community, eventi live, merchandising personalizzato.
Quindi cosa devi fare da subito?

Smetti di inseguire la viralità vuota. Concentrati su contenuti che costruiscano un’identità riconoscibile e duratura.

Crea un percorso per la tua fanbase. Dove li stai portando? Una proposta chiara? Una relazione che va oltre la piattaforma?</p

Investi nella profondità, non nella larghezza. Meglio 1.000 veri fan che 100.000 spettatori distratti.

Sposta l’attenzione dal contenuto al contesto. Dove lo pubblichi? Cosa succede dopo che lo guardano? Cosa offri oltre al video o all’ascolto?

Raccogli dati tuoi. Email, iscrizioni, membri attivi. Sono loro il vero asset. Non il numerino del contatore.

Siamo in un’epoca dove tutti possono fare numeri. Ma pochissimi sanno farli valere.
E tu? Vuoi continuare a rincorrere view che valgono meno di un centesimo, o iniziare a costruire un brand musicale che conta davvero?

Se vuoi parlarne, se vuoi iniziare a costruire una strategia che ti identifichi, ti faccia emergere e posizionare nella mente del pubblico, contattami pure senza alcun impegno.

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Le persone sono semplici da comprendere: vogliono essere ascoltate, gratificate e apprezzate. Possiamo identificare il principio di qualsiasi attività di marketing in una semplice domanda: “Dimmi chi sei”. Un quesito che bisogna rivolgere prima a se stessi, per mettere a fuoco la propria identità, e poi al pubblico che si vuole ottenere. “Dimmi chi sei” è la domanda chiave che permette di entrare in contatto con la propria audience e che permetterà di sviluppare una narrazione che parli del proprio pubblico. In questo libro Riccardo Scandellari, esperto di marketing e personal branding, invita a rivolgersi verso un tipo di marketing più umano, etico e concreto. Una scelta che permette di distinguersi nettamente dalla folla di concorrenti e improvvisati che sul web fanno a gara a chi urla più forte, per parlare con il pubblico (ma soprattutto ascoltarlo) in modo più onesto, catturarne l’attenzione e conquistarlo con l’impegno, la condivisione e la relazione.
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Musica e Fotografia: un’accoppiata vincente

Nel nostro quotidiano ci sono cose ovvie, talmente ovvie che spesso le diamo per scontate e perdiamo d’occhio la loro importanza. Spesso si tratta di dettagli che vengono sottovalutati.

Musica e Fotografia

Qualche tempo mi chiesero di realizzare un manifesto per una rassegna musicale in un locale: quattro date con quattro band locali.

Chiesi al gestore se avesse del materiale fornito dalle band e lui mi girò alcune foto e delle grafiche, tutte di qualità pessima. Quindi contattai i gruppi chiedendo se avessero qualcosa di editabile e di buona qualità. Se avessero avuto quanto mi serviva per tirar fuori un buon manifesto dove mettere anche le loro faccine, oggi non sarei qui a scrivere questo post.

Il problema è questo: gli artisti musicali sottovalutano l’importanza di un buon servizio fotografico, fatto in studio da un professionista capace di cogliere lo spirito del gruppo o del singolo artista.

Investire in un buon servizio fotografico è economicamente meno impegnativo e più utile di un video musicale. Far circolare foto tramite email, social e comunicati stampa, ad esempio, è più semplice e, se avete lavorato bene con il vostro fotografo può essere più impattante di un costoso video.

Con poche centinaia di euro un bravo professionista può cogliere lo spirito dell’artista e racchiuderlo in una o più immagini capaci di restare impresse nella mente di chi le vede. Se il fotografo è particolarmente bravo, l’immagine può diventare un’icona.

Scegliere il fotografo giusto è importante. Non basta che sia un ritrattista, sarebbe meglio se fosse uno specialista in foto di artisti musicali, questo perché anche nella fotografia esiste un grado di specializzazione: ci sono fotografi bravi nei matrimoni, altri bravi nel fotografe oggetti o arredi ed altri bravi nel cogliere lo spirito degli artisti.

Non sottovalutare mai le fotografie con le quali ti rappresenti, fanno parte della tua identità artistica.

Sai cos’è il Nècessaire del Musicista?

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Stage Zero: la Terminator dei musicisti?

La notizia più impattante di questi giorni è l’accordo tra il producer Timbaland e Suno per la creazione di Stage Zero, un etichetta discografica formata esclusivamente da artisti generati con Intelligenza Artificiale.

Stage Zero di Timbaland è una minaccia per i musicisti?

Appresa la notizia non ho potuto fare a meno di pensare alla saga di Terminator dove l’umanità viene sostituita da macchine intelligenti governate dal potere globale dell’AI Skinet: ma è davvero questo che rischiano i musicisti?

Nel suo blog, Marco Stanzani fa notare che

…per le major discografiche, STAGE ZERO sia un sogno che si avvera: nessun problema di gestione dei diritti, nessuna pausa creativa, nessuna “fase oscura” da cui far risorgere la carriera di un cantante. Gli artisti AI possono essere programmati per rilasciare album con la precisione di un orologio svizzero, adattarsi alle mode senza sforzo e, soprattutto, non chiedere anticipi royalties milionari. Che è la cosa che per loro conta di più.

Come dargli torto? Direi che è una visione lucida e oggettiva di un futuro prossimo che vedrà le piattaforme di streaming e i social media invasi da artisti virtuali magari in grado di interagire e dialogare con i propri fan tramite l’uso di AI. Veramente una pacchia per l’industria discografica.

Questo cosa significa per l’artista musicale in carne e ossa? Come può competere con la precisione e la perfezione di un AI addestrata a intercettare i gusti del pubblico?

Una soluzione la possiamo trovare sempre nella letteratura di fantascienza, più precisamente nei temi che Philip Kindred Dick ha affrontato nei suoi romanzi, scritti nei tempi in cui le macchine pensanti erano mostruosi scatoloni di relé e transistor.

Nel suo romanzo “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” Philip K. Dick esplora il concetto di empatia come elemento chiave dell’umanità. Gli androidi intelligenti, nel romanzo, mancano di vera empatia, mentre gli esseri umani, anche quelli più complessi o decadenti, la possiedono in misura variabile.

L’empatia, per Dick, non è solo un semplice sentimento di compassione, ma una capacità complessa che permette di comprendere e condividere le emozioni degli altri, arrivando a percepire il mondo attraverso la loro prospettiva. Questa capacità di “mettersi nei panni degli altri” è ciò che definisce, nel mondo di Dick, la differenza tra umano e non umano, tra ciò che è autentico e ciò che è una simulazione.

In sintesi, l’empatia in Philip K. Dick non è solo una caratteristica psicologica, ma un elemento (ontologico) che definisce l’essenza stessa dell’essere umano e la sua connessione con la realtà.

Sono troppo filosofico?
Te la butto giù semplice: crea connessioni reali con i tuoi fan, con il tuo pubblico. Non guardarli come massa, guardali come unità e interagisci con loro  con umanità e sincerità.

Creare connessioni sincere online e offline, magari raccogliendole attorno a una community, la tua community è la strada che ti permetterà che ti permetterà di vivere nell’era postumana della musica.

Vuoi che approfondire questo tema? Pensi che possa esserti utile per sviluppare la tua carriera di musicista? Facciamo quattro chiacchiere senza impegno.

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marketing musicale musicista professionista tips & tricks

Produrre musica: il metodo 50/30/20

Hai appena scritto la canzone perfetta, sei veramente soddisfatto. Hai la melodia che ti frulla in testa da mesi, il testo che ti emoziona, la visione artistica pronta a conquistare il mondo. Arriva il momento di registrare. Ed è qui che spesso la maggior parte degli artisti commette l’errore più costoso: investire tutto (o quasi) in uno studio hi-tech, illudendosi che la tecnologia farà la differenza.

Produrre musica: il metodo 50/30/20

Il risultato è scontato: Un brano costoso, confezionato alla perfezione, magari ben suonato, ma invisibile e senza pubblico. Se non realizzi che la registrazione è solo una delle fasi, e non la più importante nella realizzazione di un prodotto discografico, sei destinato a raccogliere fallimenti a catena nonostante il tuo impegno e le tua capacità artistiche.

A venirci in aiuto su come allocare le risorse di una produzione discografica esiste il cosiddetto paradosso del 50/30/20, che deve il nome ad una famosa. regola finanziaria in ambito di risparmio personale. In ambito musicale, il 50/30/20 è la mappa per non buttare soldi e tempo, e per far arrivare la tua musica dove serve davvero. Non è una regola aurea, ma è un buon punto di riferimento per orientarti nella gestione delle risorse.

1. Il mito dello studio hi-tech

La tentazione è forte: entrare in uno studio di registrazione professionale, con microfoni da migliaia di euro, console vintage, acustica perfetta ed il top dei professionisti a disposizione. È il sogno di ogni musicista. Ma il rischio è concreto: finire per spendere gran parte del budget in ore di studio, senza avere poi risorse per il resto del percorso. Il suono sarà bellissimo, sì, ma se nessuno lo ascolta, sarà solo un costoso esercizio di stile.

Lo studio di registrazione è un mezzo, non un fine. La qualità tecnica è importante, ma non deve essere l’unico obiettivo. L’errore più comune è pensare che basti registrare bene una canzone perché questa abbia successo. In realtà, la registrazione è solo una delle tante fasi, e spesso non è quella che fa la differenza tra un brano che esplode e uno che sparisce nel nulla.

2. Il paradosso del 50/30/20

Come già detto, la regola del 50/30/20, applicata alla produzione musicale, è un metodo che può aiutarti a gestire consapevolmente le risorse disponibile per la registrazione e la promozione del tuo lavoro.

  • 50% delle risorse alla pre-produzione (soundcheck emotivo, analisi demo, scelta dei suoni, arrangiamento, test su pubblico target)
  • 30% al marketing pre-lancio (engagement sui social, teaser, challenge, coinvolgimento della community)

  • Solo 20% alla registrazione effettiva (ore in studio, tecnici, strumenti, attrezzature)

Questa suddivisione non è casuale ma non va nemmeno presa alla lettera. È comunque il risultato di anni di esperienza e di analisi dei flop e dei successi del mercato musicale. Chi inverte questi rapporti, cioè chi spende il 70-80% del budget in studio e il resto alla carlona nelle altre fasi, finisce per avere un brano tecnologicamente perfetto ma commercialmente invisibile.

2.1. Pre-produzione: il 50% che fa la differenza

La pre-produzione è la fase più sottovalutata e, invece, la più determinante. Qui si decide tutto:

  • Soundcheck emotivo: non basta scegliere i suoni, bisogna capire se trasmettono le emozioni giuste. Un basso distorto può evocare rabbia, un synth vintage nostalgia. Ogni scelta timbrica deve essere funzionale al messaggio del brano.

  • Analisi demo: registrare demo e farle ascoltare a pubblici diversi (superfan, casual listener, critici). I loro feedback ti dicono se la canzone funziona o se va riscritta, accorciata, modificata.

  • Arrangiamento: creare più versioni dello stesso brano: una per la radio, una per lo streaming, una per i live. Ogni piattaforma ha le sue regole e i suoi tempi.

  • Test su dispositivi: ascoltare i demo su smartphone, auricolari, auto, altoparlanti economici. Se non suona bene ovunque, non funzionerà nel mondo reale.

Questa fase richiede tempo, creatività e metodo. Non è solo tecnica: è psicologia, marketing, ascolto attivo. Se salti o sottovaluti la pre-produzione, il resto del processo sarà una lotta contro i mulini a vento.

2.2. Marketing pre-lancio: il 30% che costruisce il pubblico

Il marketing non inizia dopo la registrazione: inizia prima, molto prima. Il 30% delle risorse va investito in attività che costruiscono aspettativa, coinvolgono la community, creano hype.

  • Fake leak: far uscire “per sbaglio” snippet distorti del brano, per alimentare il gossip e la curiosità. È una strategia usata da Beyoncé, Billie Eilish e molti altri. Funziona se hai già anche se hai un piccolo pubblico di fedelissimi.

  • Engagement: creare contenuti esclusivi, teaser, challenge vocali, contest e gadget per i fan più stretti o per legare a te quelli nuovi che dimostrano entusiasmo.

  • Teaser e contenuti social: video dietro le quinte, storie Instagram, dirette TikTok, podcast di backstage. Tutto serve a far sentire il pubblico parte del processo creativo.

  • Coinvolgimento dei creator: collaborare con creator di medio peso (500k-1M follower) per challenge, remix, cover. Sono loro che possono far esplodere un brano su TikTok, Reels, YouTube Shorts.

Se trascuri il marketing mentre stai dando corpo al brano, poi sarà troppo tardi. Il pubblico va costruito giorno per giorno, prima, durante e dopo la registrazione. Questa fase deve fare parte integrante del processo artistico di una produzione musicale.

2.3. Registrazione: solo il 20% del budget

Finalmente, si entra in studio. Ma con una consapevolezza diversa: la registrazione non è il centro del progetto, è una delle tante fasi.

  • Tecnologia al servizio della creatività: usare plugin, IA, automazioni per ottimizzare tempi e costi. Non serve avere la console più costosa del mondo: ti serve sapere come usare quello che hai.

  • Performance: registrare più take, scegliere il migliore, non accontentarsi del va bene così.

  • Collaborazione con i tecnici: lavorare in team è fondamentale, anche per una crescita professionale. Ascolta i consigli, impara metodi e trucchi, ma mantieni il controllo artistico.

  • Ascolto critico: ascolta le tracce su diversi dispositivi, anche durante la registrazione. Se qualcosa non funziona, torna sui tuoi passi e corregilo.

La registrazione è importante, ma non è tutto. Se hai fatto bene la pre-produzione, il marketing pre-lancio e post-lancio, la fase in studio sarà più veloce, efficace, economica. E il risultato sarà un brano che non solo suona bene, ma che ha già un pubblico pronto ad ascoltarlo.

3. Gli errori da evitare
  • Invertire i rapporti: spendere il 70-80% in studio e il resto “alla carlona” nelle altre fasi.

  • Sottovalutare la pre-produzione: pensare che basti scrivere una canzone e registrarla. Un brano va pensato e progettato con cura, dalla struttura all’arrangiamento.

  • Ignorare il marketing pre-lancio: aspettare che il brano sia pronto per pensare al pubblico.

  • Fidarsi solo della tecnologia: pensare che basti uno studio hi-tech per fare la differenza.

  • Non testare i demo: non ascoltare il parere di pubblici diversi, non fare test su dispositivi diversi.

4. La domanda che brucia

Quanti soldi e quanto tempo hai sprecato invertendo questi rapporti? Quante volte hai registrato un brano perfetto, ma senza pubblico? La prossima volta, prova a seguire la regola del 50/30/20 e valuta la differenza.

5. GIOCO DI SQUADRA

Ti sembra che applicare questo metodo sia complesso? Richiede troppa energia e impegno? Se fai tutto da solo, senza consulenti o collaboratori in effetti il tutto diventa molto impegnativo. Ma è proprio il gioco di squadra a fare la differenza, il saper sfruttare le esperienze e le conoscenze di altri per ottenere il maggior risultato possibile.

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L’unica guida PRATICA in Italia che permette agli Artisti di costruirsi delle basi solide per rendere sostenibile e duratura la propria carriera musicale. Non è la semplice lettura che ti spiega come aumentare la visibilità, bensì è un manuale passo passo che ti aiuta a costruire un Brand, gestire ogni ambito della carriera musicale, capire quali fonti di entrata devi generare e il come farlo. È un vero e proprio corso che consente agli artisti di trasformare la propria passione in un lavoro passando dalla creazione di un Brand, alla gestione della fanbase fino ad arrivare alla monetizzazione musicale.Vivere di musica non sarà più solo un sogno grazie alle nozioni e gli esempi pratici riportati che hanno permesso già a decine di artisti di creare un’identità unica raggiungendo i propri obiettivi.

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Il nemico invisibile del musicista

Ottenere risultati concreti nella musica non è solo questione di mercato. Non è solo questione di algoritmi. E non si tratta nemmeno di fortuna. Se sei un musicista e ti senti bloccato, frustrato, insoddisfatto, che tu sia al primo EP o al sesto album, c’è una possibilità concreta che tu sia il tuo peggior nemico di te stesso.

Il nemico invisibile del musicista è l'autosabotaggio.

L’autosabotaggio è subdolo, silenzioso, ma ovunque. Colpisce in studio, sul palco, in pre-produzione e anche quando non stai facendo nulla. Non fa distinzioni: colpisce la Star e chi ha appena caricato il primo singolo su Spotify in egual misura. Il problema non è capirlo:è affrontarlo.

L’ autosabotaggio prende diverse forme ben riconoscibili, se hai la lucida consapevolezza di valutare il tuo operare con buon senso.
Normalmente un artista musicale prima o poi deve fare i conti con una di esse, vediamone le principali:

  • Hai paura di fallire: Quindi rimandi. O peggio, non inizi nemmeno.
  • Hai paura del successo: Perché poi le aspettative si impennano, e non ti senti pronto.
    Allora ti nascondi.
  • Ti senti un impostore: Hai avuto successo? Bravo. Ma sei convinto che sia stato un caso.
    Quindi ti autosvaluti, ti auto-distruggi.
  • Vuoi la perfezione: Non pubblichi, non chiudi, non decidi. Aspetti che il pezzo sia giusto.
    Non lo sarà mai.
  • Ti fissi sul passato: Un trauma, una ferita, un rifiuto.
    E non riesci a separarlo dal tuo presente artistico.
  • Ti senti indietro rispetto agli altri: Non ti stai arricchendo, altri invece si. Quindi sei un fallito.
    Anche se magari hai fatto un gran pezzo oggi.
  • Non hai una struttura: Scrivi quando ti va, promuovi come capita, ti occupi delle tue cose solo quando sei in panico.

Ognuna di queste dinamiche ha un’ unica soluzione: un cambio di mentalità, è prendere il controllo. Non ci sono alternative a questa strada. E sì, è anche marketing, perché il tuo modo di vivere la musica influenza direttamente come la comunichi e a chi arriva.

Per evitare di impantanarsi nelle paludi delle convinzioni autolimitanti ci sono tre cose che puoi fare fin da subito:

  1. Imposta una deadline e rispettala.
    Programma le tue uscite e rispettale. Non cercare la perfezione, non esiste. Il meglio è il nemico del buono.
  2. Scrivi canzoni sulla tua paura. Sul giudizio, sull’ex che ha avuto fiducia su di te, sul produttore che ti ha ghostato. Metti a nudo le tue fragilità, entra nel profondo di te stesso, è una cosa che fa bene all’anima e che crea legami empatici con chi ti ascolta.
  3. Studia il successo degli altri per rubare strategie, non per deprimerti.

Devi essere consapevole che l’artista musicale è l’imprenditore di sé stesso. E se non impari a gestire le tue sabbie mobili interiori, nessuna strategia digitale potrà salvarti. Garantito.

Dietro ogni blocco creativo, dietro ogni post Instagram non pubblicato, dietro ogni release rimandata, potrebbe esserci il tuo autosabotaggio che lavora a tempo pieno. Sta a te decidere se continuare a esserne vittima o finalmente affrontarlo.

Strutturare il tuo lavoro, organizzare le tue giornate, programmare le scadenze, è un ottimo metodo per iniziare ad abbattere le prime barriere e superare tutte quelle convinzioni, spesso indotte dall’ambiente, che limitano le tue capacità.

Se vuoi, possiamo parlarne, scrivimi, una mezz’ora di appagante conversazione la trovo quasi sempre.

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La scimmia nel cassetto. Liberati dal giudizio degli altri, apriti alla narrazione e scopri chi ti apprezza

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Nel cassetto teniamo le cose più preziose, i sogni e tutto ciò che non abbiamo il coraggio di essere o mostrare. Tutti noi abbiamo progetti, obiettivi e aspirazioni, vere e proprie scimmie che rimangono intrappolate, che non possono nemmeno urlare per la frustrazione di dover restare chiuse in un cassetto. In silenzio.
Che cos’è peggio? Fallire o la paura di fallire? Tentare e non riuscire o non tentare affatto? Esprimere il proprio pensiero ed essere criticati o soffrire in silenzio senza dire nulla? Mettersi in gioco o rimanere nell’incertezza per non averci provato? La vita cambia solo nel momento in cui prendiamo una decisione nuova, ragionata, sostenibile e ci impegniamo per realizzarla.
Quando facciamo uscire la scimmia dal cassetto. Perché in un qualsiasi racconto di successo il protagonista non è l’eroe ma chi si appassiona alla narrazione.

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Musica: uscire dalla logica dello streaming

Oggi finalmente possiamo determinare con certezza che pubblicare sulle app di streaming non porta ad avere successo, non porta pubblico alla tua musica e soprattutto non porta sostenibilità economica. Questo non vale per tutti, ma vale per la stragrande maggioranza degli artisti musicali che affidano il loro futuro principalmente sullo streaming.

Musica: uscire dalla logica dello streaming

La causa di questo non è (tutta) colpa tua. Potresti aver composto un bel brano, potresti averlo eseguito e prodotto come dio comanda, ma nonostante questo i risultati restano scarsi e le entrate economiche insufficienti per portare avanti il tuo percorso artistico.

Questo succede perché in ogni ecosistema di streaming, che sia Amazon, Apple, Spotify o altri, il cliente dal quale l’app guadagna è l’artista che pubblica, non l’ascoltatore. L’artista fornisce il contenuto e l’app realizza con abbonamenti e pubblicità restituendo briciole.

Le app di streaming, come puoi ben notare, non pubblicizzano o esaltano l’artista singolo, ma sono concentrate sulla creazione e sulla promozione di playlist create con lo scopo di catturare e trattenere l’attenzione degli ascoltatori.

In questo contesto, tenendo poi conto che la maggior parte dell’ascolto è passivo, in pratica chi ascolta in genere è impegnato a far altro e non è concentrato sulla musica, il più delle volte la tua musica passa senza essere adeguatamente valorizzata in questo flusso anonimo che spesso non lascia un ricordo.

Se vuoi consolidare la tua figura di artista musicale, se vuoi avere una base fan veramente legata a te e alle tue creazioni devi uscire da questo sistema che spersonalizza il prodotto musicale riducendolo a mero servizio di intrattenimento.

Devi esporti al pubblico dal vivo costruire un sistema che, tramite social e web in genere, ti consenta di mantenere con loro un contatto privilegiato.

Questi sono gli imperativi che devi accettare se vuoi costruirti una professione musicale solida e duratura. Non ci sono scorciatoie o vie semplici per il successo.

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Sono dazi anche per i musicisti

Così, di punto in bianco ci ritroviamo in un pianeta scosso da una guerra commerciale storicamente senza precedenti. La situazione è ancora fluida e oggi non sono qui per analizzare la situazione. Quello che vorrei farti notare è che questa situazione riguardi anche i musicisti e tutti gli operatori del settore musicale, vediamo il perché.
Sono dazi anche per i musicisti

La guerra dei dazi scatenata dall’amministrazione Trump ha creato scompiglio anche nel mercato musicale e nell’industria discografica. Nella complessità dei mercati globalizzati quando scoppia una crisi questa finisce per coinvolgere tutti i settori economici. Questo perché tutti i settori, in un modo o nell’altro sono interconnessi tra loro.

Vediamo ora quali sono le principali conseguenze scatenate da questa inedita e imprevista situazione:

Strumenti e attrezzature più care.
Interfacce audio, chitarre, synth: se arrivano da oltre oceano, costeranno di più. Brutto colpo per studi di registrazione, live club e persino scuole di musica.

Tour internazionali a rischio.
Più burocrazia, costi logistici maggiorati, visti più complessi. Risultato? Meno artisti europei negli USA e viceversa. Meno scambi culturali. Meno musica dal vivo.

Merchandising colpito al cuore.
T-shirt, vinili, poster: aumentano i costi di produzione, trasporto e gestione. Indie label ed e-commerce ne pagano il prezzo più alto.
Streaming: impatto indiretto ma reale.

Se gli utenti devono scegliere dove tagliare la spesa, gli abbonamenti ai servizi musicali potrebbero saltare. Soprattutto se crescono anche i costi degli smartphone e degli speaker.

Le label più piccole rischiano di affondare.
Le major possono assorbire il colpo. Le indipendenti no. E tra dazi, inflazione e investimenti in calo, firmare nuovi artisti diventa una scommessa.

Non stiamo parlando di teorie astratte. Stiamo parlando di una catena produttiva che si incrina: dal musicista che compra un pedale d’oltreoceano, al fonico freelance che lavora nei tour, fino al pubblico che si trova biglietti più cari e meno scelte sotto casa.

Mentre scrivo, l’amministrazione Trump è ritornata sui suoi passi impegnandosi in questa guerra solo con la Cina. Ma non è roba da poco, perché per le manifatture cinese passa la maggior parte della produzione delle merci mondiali e questo potrebbe comunque avere delle ricadute negative.

Se lavori nella musica, in qualsiasi punto della filiera, non puoi permetterti di ignorare questo contesto geopolitico. È tempo di iniziare a ragionare come imprenditori culturali a tutti gli effetti:

  • Ottimizza la filiera (anche valutando produzioni locali o mercati alternativi).
  • Pianifica tour con maggiore anticipo e con una stima realistica dei nuovi costi.
  • Sfrutta al massimo il digitale, senza dimenticare che l’esperienza live va ripensata in ottica sostenibile.
  • Se sei una label o un artista indipendente, cerca alleanze: l’isolamento non funziona più.

Questi sono alcuni dei suggerimenti espressi dagli operatori del settore musicale e forse non sono così semplici da realizzare. Ma credo che in questo momento sia veramente necessario guardarsi attorno e seguire lo svolgersi degli eventi perché spesso, in questi momenti critici, si aprono nuove strade e nuove possibilità che però richiedono una visione diversa delle cose.

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di Seth Godin

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Un marketing di cui andare fieri. Con i suoi libri Seth Godin ha ispirato milioni di lettori, professionisti, imprenditori e appassionati di marketing. Oggi racchiude il cuore della sua visione in un manifesto fresco, rigoroso e diretto.“Il marketing è tutto intorno a noi” dice Godin “ed è ora di farne un uso migliore.” È ora di smetterla di usare i consumatori per risolvere i problemi della propria azienda e di cominciare a usare il marketing per risolvere i problemi della gente. È ora di smetterla di raccontare frottole, inondare di spam le caselle di posta dei clienti e sentirsi in colpa per il proprio lavoro. È ora di smetterla di confondere le metriche dei social media con le autentiche relazioni. È ora di smetterla di spendere soldi per rubare un minuto di attenzione al cliente. Fare marketing vuol dire migliorare il mondo. Il vero marketing affonda le sue radici nella generosità, nell’empatia e nella partecipazione emotiva. Fare buon marketing significa identificare la più piccola nicchia di mercato capace di sostenere il proprio business. Costruire fiducia e consenso. Adottare le narrazioni già in uso tra i propri clienti. Trovare il coraggio di creare e alleviare la tensione. E soprattutto dare agli altri strumenti, storie e percorsi che li aiutino a raggiungere i propri obiettivi.

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6 Motivi per Non fare il musicista

So che vorresti entrare nel mondo della musica e dell’industria dell’intrattenimento. Ma perché? Quale obiettivo vuoi raggiungere in questo settore che richiede alta professionalità ed è pure molto competitivo?

Sei motivi per non fare il musicista

Se quello che ti muove, nel diventare un artista musicale o un professionista della musica, è uno dei motivi che ti andrò ad elencare forse faresti meglio a rifletterci bene prima di fare delle scelte che potresti pagare a caro prezzo. Quindi:

Perché vuoi fare l’artista musicale?

Perche voglio diventar ricco.

Nell’industria discografica girano paccate di soldi. Veramente fatturati da paura. Il problema è che per mettere le mani su questo vortice di denaro non è facile. Invece è molto facile cadere nella ruota del criceto e rimanere stritolati da un meccanismo creato per arricchire i fornitori di servizi (etichette, DSP, agenzie stampa, manager etc.) a scapito degli artisti. Se vuoi arricchirti con la musica devi conoscere bene tutti gli aspetti del business musicale.

Perché voglio diventar famoso.

Se hai il pezzo giusto e la grinta necessaria  diventar famosi in questi giorni è sicuramente più facile di qualche decennio fa. Ma poi? Niente è più effimero della fama e della gloria. Tra l’altro, la fama non sfama. E quando le luci della ribalta si spengono, o si puntano su un nuovo arrivato, se non hai costruito la tua popolarità su qualcosa di concreto, beh, non vorrei trovarmi nei tuoi panni.

NON MI PIACE STUDIARE

Se parti dal presupposto che la musica è una Disciplina-Artistica capisci bene che intraprendendo il percorso di artista musicale tu stai imboccando una strada fatta di studi continui, di esercitazioni, di ricerca e di tutte quelle cose che servono per restare a galla in un settore creativo in continua evoluzione.

Perché non voglio morire in ufficio

Hai ragione! Non c’è niente di più noioso che starsene seduto alla scrivania a smazzar carte e documenti. Che è esattamente quello che fa, che dovrebbe fare, un musicista professionista per gestire con criterio tutta la sua amministrazione legata a contratti, royalty, leggi sul diritto d’autore, moduli SIAE etc. etc.

Perché non mi piace lavorare in fabbrica

Come ti capisco. Non c’è nulla di più noioso di avere una vita legata ad orari prussiani in un contesto dove devi perennemente conto del tuo operato. Che poi è esattamente quello che viene richiesto ad un artista musicale: professionalità, puntualità, produttività.

Perché voglio dar libero sfogo alla mia creatività

Giustamente. Il musicista è innanzitutto un artista. Una persona che manipola il suono per tirar fuori emozioni ed emozionare. Ma non dimenticare mai che vivi in un modo regolato da un’economia di mercato che ha delle regole che prima o poi faranno a cazzotti con la tua libertà creativa. Dovrai tenerne conto e magari scendere a compromessi. Ma anche qui, se si diventa molto bravi, ci si potranno togliere delle soddisfazioni.

Se stai muovendo i primi passi nel mercato musicale, se vuoi farlo con il piede giusto, evitando le trappole del sistema e con un approccio che ti impedirà di fare gli errori più comuni dei principianti, io sono a disposizione. Scrivimi senza timore.

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Un marketing di cui andare fieri. Con i suoi libri Seth Godin ha ispirato milioni di lettori, professionisti, imprenditori e appassionati di marketing. Oggi racchiude il cuore della sua visione in un manifesto fresco, rigoroso e diretto.“Il marketing è tutto intorno a noi” dice Godin “ed è ora di farne un uso migliore.” È ora di smetterla di usare i consumatori per risolvere i problemi della propria azienda e di cominciare a usare il marketing per risolvere i problemi della gente. È ora di smetterla di raccontare frottole, inondare di spam le caselle di posta dei clienti e sentirsi in colpa per il proprio lavoro. È ora di smetterla di confondere le metriche dei social media con le autentiche relazioni. È ora di smetterla di spendere soldi per rubare un minuto di attenzione al cliente. Fare marketing vuol dire migliorare il mondo. Il vero marketing affonda le sue radici nella generosità, nell’empatia e nella partecipazione emotiva. Fare buon marketing significa identificare la più piccola nicchia di mercato capace di sostenere il proprio business. Costruire fiducia e consenso. Adottare le narrazioni già in uso tra i propri clienti. Trovare il coraggio di creare e alleviare la tensione. E soprattutto dare agli altri strumenti, storie e percorsi che li aiutino a raggiungere i propri obiettivi.

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Musica e immagine: un’IA non ti salverà.

C’è una cosa che distingue le auto produzioni degli artisti musicali esordienti dalle produzioni più professionali: la qualità delle copertine, e l’avvento dell’IA generativa non è certo servito a migliorare la situazione. Ti basta un breve scrolling su Spotify per scoprire un’infinita serie di brillanti immagini anonime, standardizzate e prive di una loro originalità.

Musica e Immagine: un'IA non ti salverà

In un progetto musicale, la copertina, ma più in generale tutto l’impianto grafico che supporta la diffusione dell’opera musicale, singolo o album, è un aspetto fondamentale perché è l’unico modo che si ha per attirare con un colpo d’occhio, l’attenzione dell’ascoltatore. Ma non c’è solo questo.

Se mi segui da un po’ di tempo, avrai capito che le dinamiche di fruizione della musica rendono molto difficile posizionarsi nella testa degli ascoltatori. Per essere riconosciuti e ricordati, produrre buona musica non basta, troppe sono le distrazioni.

Nel flusso costante di suoni e immagini in cui viviamo, per l’artista emergere con i propri tratti distintivi richiede molta cura e coerenza, sopratutto richiede delle scelte di stile consapevoli che accompagnino degnamente il percorso artistico musicale che si sta intraprendendo: così vale per la musica, così vale per come la si confeziona.

La costruzione della propria immagine artistica, la confezione del proprio prodotto musicale richiedono lo stesso impegno e la stessa cura che impieghi nel realizzare la tua musica. L’artista musicale che non tiene conto di questo aspetto è destinato a rimanere ai margini del mercato.

Seguire gli artisti esordienti in questo passaggio, aiutarli ad esprimere graficamente la loro musica e la loro immagine, aiutarli a costruire una loro personalità visiva è una delle attività in cui più spesso vengo coinvolto.

Se sei pronto a fare un salto di qualità nella tua esposizione al pubblico, contattami senza impegno. Anche solo per una valutazione gratuita.

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Melody Rights allarga gli orizzonti.

Il 2025 ci porta una novità importante nella distribuzione musicale, una nuova piattaforma che si propone di gestire le royalty generate dalla musica come nessun DPS ha mai fatto, promettendo di conseguenza una maggiore e più equa remunerazione.

Melody Rights allarga gli orizzonti.

Sto parlando di Melody Rights, piattaforma fondata nel Regno Unito dal musicista Bobby Cole che si propone di offrire un servizio completo nella distribuzione e nella gestione dei diritti musicali. Un progetto che ha destato molto interesse perché concentra le sue attività in quei canali dove le creazioni musicali generano flussi di reddito più sostanziosi rispetto i normali DPS come Spotify, Amazon, Apple, ecc. che d’altro canto Melody Rights ignora per concentrarsi su altri canali più remunerativi.

Per questo motivo, Melody Rights di fatto non entra nemmeno in competizione con altri DPS come Tunecore o Distrokids, proponendo all’artista musicale un canale parallelo per la gestione delle royalties e delle registrazioni.

Con questa formula, che definirei ibrida, Melody Rights entra nel mercato musicale come distributore e come società di collecting curando, per conto degli artisti musicali:

  • Diritti d’autore: il denaro guadagnato come autore di canzoni.
  • Royalties di pubblicazione: assicurano che il tuo editore o tu stesso riceva ciò vi spetta.
  • Diritti di prossimità: che vengono pagati quando la vostra musica viene eseguita pubblicamente o trasmessa.
  • Diritti meccanici tradizionali: relativi alla stampa di copie fisiche come vinili o CD.
  • Diritti Meccanici digitali: generati da download o streaming.
  • Content ID: per generare entrate quando la tua musica viene utilizzata su YouTube o altre piattaforme.
  • Siti di micro stock: Piattaforme come Pond5 e DepositPhotos che concedono in licenza musica per video e contenuti.
  • Videogame: vendere musica da utilizzare nei giochi su piattaforme come Itch.io e Game Dev Marketplace.

In pratica, Melody Rights consente gli artisti musicali di accedere a nuovi marketplace in estrema libertà, offrendogli la possibilità di scegliere su quali canali distribuire la sua musica.

Con tre fasce di prezzo dedicate ad artisti ed etichette, Melody Rights opera secondo un modello di condivisione dei ricavi. A seconda del pacchetto scelto, Melody Rights prende una piccola parte delle royalties che ti aiuta a guadagnare, mentre il resto va a te.

Melody Rights ha creato un sistema di gestione dei diritti che funziona sia per artisti esordienti, sia per le piccole etichette, sia per gli editori con un grande catalogo, assicurando pagamenti equi in un settore in cui anche i più piccoli dettagli possono fare un’enorme differenza.

Per il futuro Melody Rights è alla costante ricerca di nuovi endpoint, con l’intenzione di includere piattaforme come Unity e Unreal per la musica dei videogiochi, oltre a espandere le partnership con librerie di sincronizzazione e altre piattaforme di contenuti. Sta inoltre valutando l’integrazione completa con le API, che consentirebbe ad altre aziende di collegarsi alla sua tecnologia senza soluzione di continuità; rimanendo fedele alla propria missione di affiancarsi ai distributori tradizionali per offrire all’artista una porta a quei canali di vendita difficili da gestire.

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