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Perché Bandcamp è molto interessante.

Complice la pandemia che ha bloccato i concerti dal vivo, gli artisti musicali hanno preso consapevolezza dei grossi limiti del sistema con cui Spotify ripartisce le royalty. Un sistema di sperequazione progressiva che premia i più noti: più sei cliccato e più il margine sul singolo click aumenta. Per gli altri non restano che le briciole e la consapevolezza della mancata promessa di “consentire a un milione di creativi di vivere dei profitti della loro musica” ancora presente nello statuto della piattaforma svedese.

Perché Bandcamp è interessante

Spotify non è un paese per piccoli e non consola l’aumento annuale da 30.000 ad oltre 43.000 degli artisti che da soli generano il 90% del traffico. Se non sei in questo 3,5% non è che ti resti molto in mano. Se resti sotto una quota di visibilità, che è molto alta, non trovi modo di emergere.

Nonostante queste premesse, perché il numero di brani caricati quotidianamente su Spotify (oltre 60 milioni) continua ad aumentare? Perché c’è questo affanno per stare su Spotify?

La fama che gode la app svedese è sicuramente legata alla sua buona auto promozione ed alle funzionalità social che rendono molto facile per un’artista o un promoter diffondere il verbo nella rete. Sembra che poco importi se poi i guadagni sono ridicoli o i post sui social vengano regolarmente ignorati generando pochi streaming.

Arriviamo al punto: cosa offre Bandcamp che Spotify non offre?

Innanzitutto il motore del sito sono gli artisti, chi produce musica e non solo chi ne usufruisce. Con la sua conformazione classica la navigazione in Bandcamp può sembrare spartana e statica, in realtà è funzionale, intuitiva ed offre al fruitore il tempo per ragionare, ascoltare e scegliere le diverse proposte del catalogo.

Gli artisti musicali in Bandcamp trovano uno spazio per gestire in autonomia il proprio spazio nella piattaforma: possono fissare il prezzo del download, decidere cosa mettere in streaming gratuito e il tutto senza obblighi o intermediari.

Alcuni artisti mi confermano che l’ecosistema di Bandcamp ha loro permesso di costruire un dialogo proficuo con un pubblico veramente interessato alla loro musica e ben felice di spendere qualche euro per un Cd, un vinile o un file digitale. Il che non è poco dato che la vendita di un paio di dischi su Bandcamp corrisponde al controvalore di due anni su Spotify.

Il pubblico di Bandcamp ha un profilo diverso dall’utente medio di Spotify. E’ mediamente più curioso, più disponibile a nuove esperienze di ascolto e sopra ogni altra cosa, in genere cerca quella musica che non trova nel mainstream. E’ un pubblico esigente ed attento che cerca gratificazione nell’ascolto della musica.

Bandcamp si presenta come una strategia alternativa per poter raggiungere le comunità di ascolto. Lo è particolarmente in questo momento in cui l’industria del supporto fisico, cd e vinile, sta vivendo una nuova primavera come messo in evidenza dai dati della FIMI nell’ultimo trimestre. ​​


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Bandcamp: quello che Spotify non ti offre

Bandcamp nasce nel 2007 come servizio servizio musicale che permette ad artisti indipendenti di promuovere e distribuire la loro musica online, recentemente i suoi servizi si sono estesi anche alle etichette discografiche che possono contare su un’ampia platea di iscritti molto interessata a nuove esperienze musicali.

Bandcamp vs Spotify

Bandcamp ti permette di caricare, ascoltare e acquistare musica, in formato fisico o digitale. La sua specificità è quella di vendere musica, attraverso un’esperienza di ricerca nella quale l’utente scopre un artista o un album che gli piace e decide di acquistare i file caricati dall’artista stesso. La piattaforma californiana nasce infatti per offrire agli artisti indipendenti un grande negozio di dischi online, dove far conoscere e commercializzare le proprie opere.

Visto in questa ottica, il servizio offerto da Bandcamp è abbastanza flessibile: come artista musicale puoi vendere la tua musica sulla piattaforma scegliendo diversi tipi di formato file ed il prezzo del singolo brano o dell’album.

Questa elasticità, la praticità d’uso e una struttura di navigazione classica e solida piace molto sia ai musicisti sia ai loro fan e garantisce al sito un giro d’affari complessivo di circa 196 miliardi di dollari in progressivo aumento.

Ma ciò che più piace agli artisti che affidano la loro carriera a Bandcamp è il rapporto musicista>ascoltatore completamente diverso da quello imposto dall’ecosistema Spotify. Un rapporto più naturale e spontaneo che non impone la filosofia competitiva dell’app svedese riassunta dalla cruda e semplice dichiarazione del CEO Daniel Ek: «Non puoi registrare un disco ogni tre o quattro anni e pensare che sia sufficiente».

A differenza di Spotify, che è un app di musica in streaming, Bandcamp si presenta come «a record store and a music community». La sua mission principale è quella di mettere in contatto gli artisti musicali con il loro pubblico, ma soprattutto di garantire loro un introito adeguato per il loro lavoro: un’angolazione completamente diversa rispetto al gigante svedese che si sta rivelando incapace di mantenere le promesse della sua mission.

Nel più vasto ecosistema della fruizione della musica online questi due modelli sembrano in antitesi, quasi contrapposti, in realtà mi è stato fatto notare che non è proprio così. Sebbene la distanza tra il Sistema Spotify e il Sistema Bandcamp sia notevole, i due servizi si dimostrano complementari per garantire un’adeguata offerta al pubblico. E questa credo sia la visione più corretta per un approccio costruttivo verso le due soluzioni.

Sebbene le dimensioni del giro d’affari di Bandcamp sia molto inferiore rispetto a quello di Spotify, potresti trovare il sito californiano molto competitivo perché più appagante rispetto l’app svedese proprio per la diversa remunerazione delle opere pubblicate e ascoltate/vendute.

Con il suo complicato e sbilanciato sistema di royalty, Spotify paga da 0,0025-0,0042 euro ad ascolto e solo una parte, al netto di ciò che spetta a casa discografica e distributore, arriva effettivamente nelle tasche dell’artista. Su Bandcamp per un artista o etichetta, basta vendere un paio di dischi per portarsi a casa il controvalore di due anni di Spotify.

Conosco un paio di artisti indipendenti che hanno fatto di Bandcamp la piattaforma privilegiata per mantenere un contatto con il pubblico, raccontano che la loro esperienza è molto positiva perché raggiungono persone motivate e realmente interessate alla loro arte e si ritengono economicamente appagati dai risultati che riescono raggiungere.

L’esperienza di ricerca e di ascolto su Bandcamp è molto diversa da quella agile e veloce delle app di musica in streaming, ma proprio per questo gli utenti di questo sito sono più attenti alla musica che ascoltano e acquistano. Questo sembra premiare quegli artisti musicisti a cui vanno strette le logiche imposte dalla musica in streaming e intendono percorrere strade creative più libere.

Per spiegarmi meglio, potrei usare questa immagine: Spotify è una grande autostrada, che ti porta velocemente lontano, ma che ti costringe in un percorso obbligato con il rischio di restare intrappolato in una coda estenuante; Bandcamp è una strada di campagna che attraversa borghi e colline. Sicuramente è più lenta e richiede attenzione nel percorrerla, ma ti lascia la libertà di cambiare percorso regalandoti dei fantastici paesaggi.

Sono due esperienze diverse, che puoi scegliere in base agli obiettivi che ti poni, senza contare che il percorso della tua attività artistica non ti impone una scelta tra le due strade, puoi anche fare un percorso misto.


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