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L’evoluzione discografica: così va il mondo, baby!

Il concetto di crisi non è certo nuovo nel settore discografico, ma a differenza di altri settori molti lo intendono in senso assolutamente positivo e, nonostante le difficoltà del periodo e le apparenze, potrebbero avere ragione. Nella discografia infatti ogni rivoluzione tecnologica ha ampliato le modalità tramite cui gli artisti raggiungono il loro pubblico.

Dobbiamo tener presente che l’industria discografica è composta da due elementi cardini: l’elemento creativo, ovvero la musica; e l’elemento tecnologico, ovvero il supporto musicale. Entrambi gli elementi sono in continua evoluzione: ogni volta che una crisi coinvolge l’elemento creativo, si assiste alla nascita di un nuovo genere musicale, quando invece tocca l’elemento tecnologico, si ha la creazione di un nuovo medium. Ad ogni nuovo supporto meccanico corrisponde un diverso modello di distribuzione.

L'evoluzione dell'industria discografica
courtesy pixabay.com

Già all’inizio del secolo scorso, quando iniziarono a circolare i primi supporti fonografici, i musicisti pensarono che la musica dal vivo avrebbe subito la loro concorrenza sleale; lo stesso è accaduto con tutte le successive innovazioni tecnologiche: vinili, radio, per non parlare delle musicassette, primo esempio di copia domestica. Anche il passaggio tra vinile e CD e la registrazione digitale hanno portato una rivoluzione nella struttura del mercato musicale.

Ma è con le reti peer-to-peer che il supporto meccanico perde la sua dimensione materiale trovando le case discografiche prive di un business model capace di mantenere il valore dell’enorme investimento fatto sui loro musicisti. Tramite il download dalle reti peer-to-peer gli utenti possono acquisire il risultato di una produzione milionaria a costo zero, annullando il valore economico del prodotto.

La lotta alla pirateria musicale e nuovi regolamenti internazionali hanno pesantemente ridimensionato il download illegale sulle reti peer-to-peer, ma ciò che più di ogni altra cosa ha cambiato il mercato discografico è stata la distribuzione di musica in streaming dove, con un abbonamento relativamente modesto, oggi il pubblico può ascoltare qualsiasi cosa in ogni dove, purché abbia almeno un dispositivo collegato ad una rete. Non ha qualcosa di miracoloso questo?

Fino all’arrivo della pandemia da Covid-19, la musica dal vivo pur subendo qualche fluttuazione, non ha mai subito periodi di crisi profonda. L’industria della musica live, infatti, è basata sull’idea di creare opportunità di relazione tra le persone: tra fan di un artista e tra l’artista e i suoi fan. Le ferree regole di distanziamento sociale hanno messo in crisi questo sistema che oggi sta cercando nuovi metodi per poter superare questo periodo incerto e difficile.

Come musicista, come artista creativo, non puoi comunque ignorare il fatto che una casa discografica è comunque un’attività d’impresa che investe una determinata somma di denaro per perseguire un risultato economico non garantito. Nelle imprese, generalmente, maggiore è il capitale investito in una attività, maggiore è la percentuale dei profitti ricavati.

Si calcola però che una casa discografica investe circa il 30% del suo fatturato annuo per produrre e promuovere nuovi prodotti discografici e nuovi artisti, il che corrisponde alla metà degli investimenti fatti dal settore farmaceutico che però sono molto più remunerativi.

È perciò chiaro che, per sostenere le spese, una produzione discografica deve poter sfruttare al meglio i guadagni percepiti sui propri successi, in modo da controbilanciare le perdite legate alle scommesse andate storte.

Così oggi ci troviamo con case discografiche che curano le loro produzioni a 360° gradi, iniziando con il prodotto album, passando per il management dell’artista, l’organizzazione dei live e infine con il merchandising. Sono soprattutto queste ultime due voci che portano contante fresco e veloce nelle casse degli editori. Questo è anche dovuto al fatto che i ricavati dallo streaming o dagli store digitali non sono così soddisfacenti come quelli del supporto fisico.

In questo contesto, puoi ben capire come un editore discografico non abbia più la forza, e la voglia, di coltivare la crescita di un artista, ma preferisca rivolgere la sua attenzione verso coloro che già si sono costruiti una fanbase e hanno trovato un riscontro positivo dal pubblico. Su questo, una struttura aziendale può lavorare in termini di produzione e promozione con margini di rischio meno elevati.

Nel settore questo tema suscita talvolta anche dibattiti molto accesi sui pro e i contro della situazione che è andata a crearsi con il tempo. Non mi dispiacerebbe conoscere anche la tua opinione in proposito.


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